IVAN STEPANOVIC KONEV, il generale astemio

Capo lucido, occhi di ghiaccio, uomo di ferro. Caratteristiche indispensabili per descrivere la figura di Ivan Konev, il generale sovietico che accettò il compito di difendere il fronte più belligerante del secondo conflitto mondiale, quello da dove tornavano 3 soldati ogni 100 partiti ( se tutto andava bene), quello dove i proiettili erano l’ultima preoccupazione, perchè prima dovevi sopravvivere al gelido inverno: sto parlando del Fronte orientale.
Ivan, classe 1897, era figlio di contadini, orfano di madre e impiegato in una falegnameria, insomma un tipico ragazzo che viveva nella sterminata tundra russa. La vita che gli si prospettava, anche a causa dell’abbandono della scuola, era priva di obbiettivi da raggiungere, se non fosse che, il 28 giugno 1914, un proiettile sparato a quasi 3000 km di distanza aveva per lui in serbo tutt’altro che un’esistenza da sempliciotto.

Prima pagina del quotidiano viennese KRONEN ZEITUNG sull'attentato di Sarajevo
Prima pagina del quotidiano viennese KRONEN ZEITUNG sull’attentato di Sarajevo


Il proiettile assassino uscì dalla pistola di Gavrilo Princip, giovane rivoluzionario serbo, e trapassò il collo dell’arciduca Francesco Ferdinando, provocandone la morte. Un omicidio provvidenziale per far sì che l’Austria potesse dare, formalmente, il via alla prima guerra mondiale.

Quando inizia un conflitto bellico è inevitabile il valzer delle alleanze, secondo quello che è un circolo vizioso. Un circolo vizioso che toccò anche l’Impero russo, dove il meccanismo di reclutazione, avviato dai generali dell’esercito,
si mise in moto.
Tra i soldati dello zar compariva anche il nome della recluta Ivan Konev, che alla fine del conflitto vedrà salire il proprio rango al grado di sottufficiale. La scalata alle gerarchie ebbe inizio.

Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, con annessa caduta del regime imperiale, nacque il Partito Comunista a cui Ivan non esitò ad iscriversi. Durante gli anni ’20, caratterizzati da continui scontri civili, egli sposò la causa patriottica e nel 1934  divenne un Ufficiale Superiore. Quella ottenuta era una posizione di tutto rispetto, ma, prima di consolidarla definitivamente, dovette affrontare un nemico-amico: Iosif Dzugasvili, conosciuto come Stalin. Le sue massiccie purghe erano finalizzate ad eliminare tutti coloro che si opponevano al suo potere supremo e le vittime furono in gran parte politici e militari graduati.

Soldati tedeschi e italiani sul Fronte orientale. Il freddo sarà il loro nemico principale.
Soldati tedeschi e italiani sul Fronte orientale. Il freddo sarà il loro nemico principale.

Nel frattempo il secondo conflitto mondiale stava per entrare nella fase più calda, quella che avrebbe deciso le sorti dell’intero pianeta: Hitler, in data 22 giugno 1941, diede il via all’operazione Barbarossa (nome preso in prestito dall’imperatore Federico Hohenstaufen, il Barbarossa), un nome che con il senno di poi avrebbe preferito evitare, in quanto ad attenderlo c’erano quei soldati che del rosso ne facevano il proprio emblema e il proprio punto di forza.
Mosca venne posta sott’assedio e il primo contrattacco del conflitto fu guidato dal generale tenente Ivan Konev, adesso comandante della 19esima armata. Non male per uno che trent’anni prima come arma usava la sola sega.

Come in un film, anche le storie più belle possono sgretolarsi con uno schiocco di dita.
Dio, il regista di questa tragedia, decise che la vita idiliaca di Ivan dovesse interrompersi e come scenario della sua disfatta scelse la città di Vjazma, dove accadde l’invevitabile.
Il suo compito era difendere la città, evitare che i tedeschi la radessero al suolo e al suo seguito aveva moltissimi libri, ma pochissime armi pesanti.
Ebbene sì , per Konev vale il detto “l’apparenza inganna” : pur non avendo terminato gli studi, ebbe modo di rifarsi nel tempo libero e divenne un insaziabile lettore di classici – in primis Tolstoj- e si dice che avesse con se’ , anche in guerra, una piccola biblioteca portatile. Libri che andavano a sostituire gli alcolici in dispensa, perchè, strano a dirlo,  lui, un purosangue russo, era astemio e il vodka non gli scorreva nelle vene.

L’offensiva tedesca avanzava e il nostro generale era impaziente di trovare una soluzione per sconfiggere le truppe avversarie. I soldati-prigionieri abbondavano negli ospedali sovietici di frontiera e per Konev non era inusuale imbattersi in alcuni di questi, cosa che gli permetteva di studiarli da vicino.
La sua era una vista da falco e il suo cervello elaborava le informazioni con una velocità superiore a quella di un essere umano normale; così tutte queste valutazioni lo portarono a soffermarsi sull’equipaggiamento nemico, un mix di leggerezza, che permetteva ai tedeschi di muoversi liberamente e con rapidità. Poteva essere questa una delle chiavi di vittoria per l’esercito di Hitler, ma poteva anche giocare a favore di Konev, e, come un fulmine a ciel sereno, forse ricordando il classico “Guerra e pace”, gli balenò un pensiero per la testa: “Gli indumenti sono troppo leggeri per il nostro inverno, non possono resistere”.
Questo ragionamento si rivelò corretto in lunga data e non in brevi termini.

La città di Vjazma oggi. Venne ricostruita dopo essere stata rasa al suolo.
La città di Vjazma oggi. Venne ricostruita dopo essere stata rasa al suolo.

Infatti, come se lui stesso decidesse come e quando dovesse nevicare, quel 5 ottobre Vjazma fu coperta da un manto bianco. Ciò non fu sufficiente. La tensione era altissima e le truppe della S.S. non sembravano accusare il clima gelido, dunque Ivan non potè che ritirarsi in data 7 ottobre dalla città, che venne rasa al suolo. Fu bollettato come traditore e condannato all’esecuzione capitale, su volere del leader Stalin. Una morte indecorosa per un uomo che aveva fatto della guerra il proprio riscatto di una vita iniziata nella miseria… Ed ecco che la provvidenza divina, sotto le sembianze del generale Georgij Zukov, aiutò Ivan, salvandolo da una morte certa. L’intervento di Zukov a suo favore fu decisivo e lo aiutò a riottenere il suo ruolo di comandante. I due divennero amici, ma al contempo rivali sul campo, dove ognuno cercava di trarre il massimo dalle proprie truppe per ottenere la gloria. E questa non tardò ad arrivare.

Konev, questa volta al comando di due armate, nell’inverno del 1942 fronteggiava i nemici nel cuore della Russia, nella sua capitale Mosca, dove si combatteva isolato per isolato, via per via, casa per casa. Il 17 febbraio arrivò la sua definitiva consascrazione a eroe di guerra: i tedeschi erano ormai bloccati in città e si erano rifugiati in case prevalentemente di legno. Ecco che scattò la trappola, ideata dallo stesso Konev, che consisteva nel far uscire i nemici allo scoperto, incendiando i loro rifugi, e, una volta fuori, i carristi russi avrebbero dato loro la caccia, uomo per uomo, sparandoli e addirittura schiacciandoli con i carri armati.

 

Cosacchi fedeli a Stalin. Molti di loro passarono al soldo di Hitler, memori dell'opera di "Decosacchizzazione" perpetrata nei loro confronti dai bolscevichi.
Cosacchi fedeli a Stalin. Molti di loro passarono al soldo di Hitler, memori dell’opera di “Decosacchizzazione” perpetrata nei loro confronti dai bolscevichi.

E qui c’è quella sottile linea che separa il dovere militare dal puro sadismo, dal puro godimento personale: in una situazione del genere, dopo aver affrontato trent’anni in compagnia di cadaveri e feriti agonizzanti, non possiamo sapere cosa passava per la mente di Konev, ma sta di fatto che ordinò alla cavalleria di giustiziare i nemici che avevano alzato bandiera bianca. Una strage che costò la vita ad oltre ventimila tedeschi e che valse al generale Ivan Konev l’etichetta di “uomo malvagio e spietato”. La città di Mosca fu salva ed egli fu perdonato da Stalin.
La sua carriera raggiunse l’apice nel febbraio 1944, quando fu promosso a livello di Maresciallo -la più alta onoreficenza militare russa- , dopo che sconfisse una Panzerdivison a Kursk e in seguito alla sua cattura di oltre ottantamila soldati tedeschi (sotto il comando di Elrich Von Manstein) grazie ad un’efficacissima manovra di accerchiamento.

E da allora in poi ci furono soltanto successi, intervallati da quello che, forse, è stato per lui l’avvenimento più sconvolgente: in data 27 Gennaio 1945, impegnato nella liberazione di Cracovia, fu il primo a mettere piede nel campo di concentramento di Auschwitz e trovò dinanzi a se’ tutto ciò che era umanamente impensabile.
Forse per dovere, forse per dolore, non si intrattenne ulteriormente in quella zona e passò avanti, alla volta di Praga.
Liberò anche questa città e infine, parallelamente a Zukov si recò verso Berlino, dove lo attendeva la vittoria definitiva.

Abdulkhakim Ismailov, il soldato dell'Armata Rossa che innalzò "la bandiera della vittoria" sul Reichstag di Berlino in data alcuni giorni dopo la presa della città.
Abdulkhakim Ismailov, il soldato dell’Armata Rossa che innalzò “la bandiera della vittoria” sul Reichstag di Berlino alcuni giorni dopo la presa della città.

E’ curioso l’aneddoto secondo cui Stalin, per trarre il meglio dai suoi due Marescialli, diede al primo l’ordine di attaccare Berlino sud, al secondo l’obbiettivo di catturare la parte settentrionale, senza che l’uno sapesse del compito dell’altro .
Konev entrò il 21 aprile nella zona meridionale della città e, per poco, non rischiò di cadere nel fuoco amico del suo compatriota Zukov. Tutto si risolse al meglio e a quest’ultimo fu dato l’onore e l’ònere di conquistare il Reichstag, ultimo simbolo del Terzo Reich.
E insieme ad esso, anche un posto sui libri di storia a discapito di Ivan Konev.
Al termine del conflitto, ricoprì il ruolo di comandante delle forze del Patto di Varsavia e rappresentò l’Unione sovietica all’estero, presenziando anche al funerale del “mastino” inglese, Winston Churchill.
Si spense il 21 Maggio del 1973, lasciando la moglie e i tre figli e portandosi nella tomba la divisa ornata da una decina di medaglie, russe e non.

Per un uomo che ebbe la forza di rialzarsi dopo essere caduto rovinosamente, non poteva che attendergli un posto nella storia e, se l’ha ottenuto nel cuore dei suoi compatrioti, nel resto del mondo la sua figura è sconosciuta ai più.
Senza di lui, come è valido per molti altri, adesso staremmo parlando di un’altra guerra, forse più lunga, forse più sanguinosa, ma con i “forse” e con i “se” non si fa la storia.
I suoi meriti tattici e strategici superarono di gran lunga i suoi fallimenti e alcune sue azioni riprovevoli gli sono state perdonate.
Del resto, in guerra, avere pietà del nemico può portare alla sconfitta, ed il nostro Ivan l’aveva capito fin da quando era venuto al mondo.
-di Salatino Stefano

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