In Nomine Patris – La Distruzione dei Luoghi Sacri

In Nomine Patris. La nostra volontà addebitata a terzi. Aver agito nel nome del Signore – o qualsiasi altra divinità si voglia intendere – è tra le giustificazioni più abusate dall’uomo nel corso della Storia. Conflitti, massacri, distruzioni. Indaghiamo il peso giusto della fede come movente di guerra attraverso il destino dei Luoghi Sacri.

La guerra civile imperversa in Siria e Libia. I conflitti non risparmiano le antiche città di Aleppo, Palmira e Damasco e i siti archeologici di Leptis Magna e Cirene. L’UNESCO piange impotente. Lancia un grido di aiuto attraverso la creazione di un cupo sottoelenco dei Patrimoni dell’umanità: i Patrimoni dell’umanità in pericolo. Attualmente questa lista conta 52 siti mondiali a rischio per cause naturali, guerre, e anche moderni piani urbanistici. Tra gli ‘ultimi arrivati’ ci sono diversi monumenti siriani e libici, la cui esistenza millenaria è messa a repentaglio dalla lotta armata che coinvolge i rispettivi territori.

Non possiamo dimenticare il recente clamore mediatico suscitato in Occidente dalla distruzione della città di Palmira per mano dello Stato Islamico, allora sotto la guida del califfo Abu Bakr al-Baghdadi (1971-2019). Uno stuolo di pazzi dissennati che in nome del proprio Dio uccidono gli ‘infedeli’ e ne distruggono i luoghi sacri. O almeno questa è la recensione mediatica offertaci dai media. Il fenomeno jihadista ha una forte componente religiosa, ma la fede non è il suo unico motore.

Durante la guerra civile siriana (2011-in corso), i jihadisti hanno devastato sistematicamente templi religiosi e icone. Rovine trasformate in macerie. La mia narrazione muove proprio da questi detriti. Di Palmira e di Al-lāt, che ben si prestano come punto di partenza per rispondere alla principale domanda di quest’articolo. È possibile distruggere luoghi sacri unicamente nel nome di Dio?

palmira, la sposa del deserto

Fondato nel 123 d.C., il tempio palmireno di Al-lāt fu dedicato all’omonima divinità pre-islamica della guerra e degli inferi, assimilata alla dea greca Atena. Nel 1977, un gruppo di archeologi polacchi scopre in situ una statua raffigurante un leone, suo animale sacro. Una volta restaurata, la scultura trova posto all’ingresso del Museo Archeologico di Palmira. Fino a quando non viene abbattuta dai fondamentalisti islamici nell’estate del 2015. Il precetto del radicalismo sunnita che incita a distruggere i ‘falsi idoli pagani’ si traduce così in iconoclastia.

Eppure questa non è la prima volta che Palmira e la dea Allat vengono profanate. Se viaggiassimo a ritroso per quasi due millenni, ci troveremmo a vivere un déjà vu invertito.

Siamo negli anni ’80, quelli del IV secolo d.C..
La Siria è una provincia dell’Impero Romano, dove il Cristianesimo è stato da poco introdotto come religione unica e obbligatoria dall’Imperatore Teodosio I (347-95).
Il Prefetto del pretorio d’Oriente, Materno Cinegio, è un cristiano fervente, al limite del fanatismo, con pieni poteri sulla regione siriana.

Dove non tarderà a mettere in atto una terribile persecuzione dei pagani locali, in nome dell’Unico Dio cristiano. Cinegio, campione in materia di repressione religiosa, procede con la devastazione di tutti i templi di Palmira. Compresi gli interni del Tempio di Al-lāt, come ricostruito in dettaglio dall’archeologa Barbara Gassowska.

Sant’Ambrogio converte Teodosio, tela di Pierre Subleyras1745

Ella ipotizza che gli emissari del prefetto abbiano decapitato la statua di Allat-Atena , per poi martellarne la testa così da ridurla in frammenti minuscoli. Annientare, annichilire la dea. L’opera di depersonalizzazione dell’idolo nemico ha successo.

fede ideale

Cristiani o islamici, che corra l’anno 386 o il 2015, la metodologia iconoclasta attuata a Palmira diviene quasi scienza ripresentandosi a secoli di distanza in egual modo, anche se per mano di nuovi attori. Potremmo meravigliarci di questa coincidenza ed individuare come unica costante il movente della fede spinta all’estremo, il rispetto ossequioso delle sacre scritture. Eppure non sarebbe soddisfacente. Un punto di vista limitato, secondo cui fede e religione sono la stessa cosa. Ma non è così.

Nel caso dell’Impero Romano, il Cristianesimo diviene parte integrante dello Stato. Quindi professare un’altra religione non significa essere nemico del Dio. Significa mettersi contro Roma.

Considero la fede come un prodotto irrazionale dell’uomo, partorito dal suo istinto e subito vincolato al costrutto ideologico della logica. Un congiungimento che avviene quando l’impulso della credenza in un Ideale, che esso sia un Dio onnipotente o una Società perfetta, si scontra con l’apprendimento razionale della sua irrealizzabilità. Ma ciò non vieta di raggrupparci con altri simili che anelino, che tendano ad un ideale simile al nostro. Consapevoli di poterlo solo avvicinare.

Così nascono Religioni, Stati, Partiti. Tutte organizzazioni ideologiche che coniugano praticità e credenza. Chi segue gli insegnamenti del Vangelo cattolico non è differente da chi sostiene la missione sociale della Repubblica Italiana. In entrambi albergano sia fede che consapevolezza della realtà.

Pertanto, la mia risposta alla domanda se è possibile distruggere luoghi sacri in nome di Dio è negativa. Ripeto. No, non è possibile. È una giustificazione superficiale.

il concetto di INVIOLABILITà DEl luogo sacro

Ma allora come mai templi, edifici pubblici e monumenti sono le vittime predilette di ogni conflitto? Serve una lettura alternativa utile a non farci cadere nell’inganno della ‘distruzione di un luogo sacro in nome del mio Dio‘. La fede da sola non può scatenare una guerra e non distrugge ciecamente né monumenti né templi. Assume un tale potere quando agisce all’interno di una più ampia ideologia religiosa. A tal proposito, vi propongo di analizzare insieme il concetto di inviolabilità dei Luoghi Sacri.

Le civiltà di ogni tempo hanno istituzionalizzato ognuna a proprio modo il cosiddetto ‘diritto di asilo’. In generale, si tratta di una prerogativa astratta che coinvolge chi non è più ben accetto nella propria società essendo accusato di crimini contro la stessa. Solitamente un uomo ottiene lo status di ‘supplice’ quando chiede protezione ad una divinità. Trova riparo all’interno di un tempio o comunque di un edificio religioso o pubblico. Ad esempio, assolvono a questo compito gli antichi santuari greci o le moderne ambasciate in territorio estero. Spazi appunto inviolabili, dove chiunque è al sicuro in attesa di risolvere giuridicamente le dispute che lo coinvolgono o fino a scampato pericolo.

I testi antichi riportano che il trasgressore del recinto sacro sarebbe incorso nella furia degli dei. La presenza di questo timore è rintracciabile nel racconto della morte di Pitagora (580/70-490 aC).

Secondo una versione, il grande filosofo e matematico, perseguitato per le sue idee politiche, trovò riparo presso Metaponto, in un piccolo tempio dedicato alle Muse. Pur non avendo molto cibo a disposizione, Pitagora si rese così ‘intoccabile‘ dagli inseguitori. Che rispettano il rifugio sacro del fuggitivo, attendendone la morte avvenuta 40 giorni dopo per inedia,

Tempio delle Tavole Palatine, Metaponto

La storia di Pitagora è romantica, ma non deve nascondere i difetti storici di questo meccanismo auto-difensivo. La teoria non sempre si traduce in pratica, e nutrire una forte aspettativa potrebbe rivelarsi controproducente. L’atto di rifugiarsi all’interno di una presunta zona franca è divenuto per l’uomo un automatismo quasi istintivo, ma la sua efficacia è quasi nulla. Tanto più quando il movente religioso come casus belli non è prioritario. E se il nemico non ha timore di compiere un ‘atto profano‘.

Masse di persone che durante un assedio si spostano sul punto più alto della città, l’ultimo baluardo difensivo e di solito anche la sede degli edifici pubblici principali. Avviene durante la presa di Gerusalemme (Prima Crociata, 1096-99), quando gli invasori Crociati danno fuoco alla Sinagoga uccidendo tutti gli Ebrei ammassati al suo interno in cerca di un riparo (14 luglio 1099). O ancora, vale per la chiesa di Santa Maria Assunta, uno dei teatri della Strage di Marzabotto (29 settembre – 5 ottobre 1944), dove quasi in duecento morirono cercando inutilmente rifugio dalla furia nazista.

FALSA SICUREZZA

Così come la fede non può essere l’unico movente di chi attacca, la stessa deve essere ricondotta alla razionalità se è in pericolo la propria vita. Quando devo argomentare la falsa sicurezza trasmessa da quattro mura consacrate, utilizzo come esempio massimo il racconto dell’assedio veneziano di Atene del 1687.

La Polis, all’epoca sotto il controllo dell’Impero Ottomano, è accerchiata dalla flotta del capitano Francesco Morosini. La sue navi stanziano nelle acque del Pireo tenendo sotto tiro gli assediati. Quest’ultimi ripiegano sull’altura dell’Acropoli ed hanno la brillante idea di utilizzare il Partenone come magazzino delle munizioni. Oltre che come luogo di preghiera, avendoci costruito sopra un minareto. Gli Ottomani giocano proprio sulla presunta inviolabilità della zona, in particolare del sacro Tempio di Atena. I cannoni della Repubblica di Venezia non oserebbero sfiorarlo.

Gli Ottomani concedono così un lusso quanto mai azzardato in tempo di guerra. Tant’è che non calcolano la presenza di quell’unico uomo – in base alle fonti, un mercenario tedesco al soldo della Serenissima – che decide di puntare il mortaio contro il simbolo dell’Antica Grecia. BOOM.

Qualora ad Atene siate costretti a farvi una foto con sullo sfondo il Partenone che sembra un cantiere, sapete chi ringraziare!

Dunque, non deve meravigliarci che l’inviolabilità del luogo sacro sia solo un mito.

diverse varianti

I racconti della Storia testimoniano innumerevoli distruzioni di edifici pubblici e religiosi dal carattere sacro. Mantenendo il focus sui luoghi di preghiera, alcune situazioni particolari si discostano dal copione a cui siamo abituati.

È il caso di Erostrato, umile pastore di Efeso, che nel 356 aC incendiò e distrusse il Tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo antico. Perché lo fece? Odio verso la dea della caccia? Necessità di guerra? Niente di tutto ciò. Erostrato compì questo gesto eclatante affinché il proprio nome potesse rimanere impresso a memoria d’uomo. Possiamo dire che ci sia riuscito, anche se a costo della vita. Ancora una volta l’obiettivo designato è uno spazio sacro, funzionale, punto di ritrovo della comunità.

Sovente gli edifici sacri fungono anche da depositi di ricchezza. Pensiamo ai monasteri dell’Inghilterra medievale, in particolare l’Abbazia di Lindisfarne, saccheggiata dai Vichinghi l’8 giugno 793. L’arrivo inaspettato dei Danesi sconvolse la comunità monastica. Fu un massacro non solo umano ma anche culturale, con reliquie sacre profanate e manoscritti bruciati.

Eppure gli obiettivi principali del raid non erano né i monaci né il Dio cristiano. Il priorato di Lindisfarne (ricostruzione in foto), ancor prima del proprio valore religioso, possedeva innumerevoli beni materiali – proprietà terriere, manufatti luccicanti, tesori e gioielli -, che ben si prestarono a soddisfare la sete di ricchezza vichinga.

Rintracciamo un’affinità con i Conquistadores che tra il XV e XVII secolo attraversarono l’America a caccia di bottino e affermando la propria superiorità. Il Tempio di Coricancha fu un’illustre vittima dell’urbanistica coloniale spagnola. L’edificio si stagliava con maestosità sullo sfondo della città di Cuzco (Perù), allora capitale dell’Impero Inca.

Dedicato ad Inti, il dio del Sole, conservava al suo interno enormi ricchezze, tra cui una stanza completamente rivestita d’oro. I colonizzatori spagnoli non si limitarono al saccheggio e alla spoliazione del Tempio. Il loro progetto di ristrutturazione urbanistica di Cuzco prevedeva la rimozione di Coricancha e il riutilizzo delle fondamenta per il nuovo Convento di Santo Domingo.

La stanza dorata di Coricancha

CONCLUSIONE

Ho riportato alcuni esempi per illustrare la complessità che si nasconde dietro la distruzione di un luogo sacro, un idolo religioso o, comunque, un simbolo della comunità. E che ciò non dipende dalle sole virtù di Fede.

Ricollegandomi all’introduzione, il principale stimolo per la mia ricerca è stato lo stupore generale che contorna le vicende di Siria. Mi sono domandato: perché l’Occidente si stupisce così tanto di fronte al terrorismo culturale islamico? perché si ‘triggera’ se ad essere colpiti sono monumenti, siti archeologici e icone religiose? perché lo vive come uno scontro di fede?

L’anacronismo jihadista è ritenuto tale dall’Occidente poiché mira a riprodurre i metodi distruttivi di un passato remoto. Nel terzo millennio, attaccare edifici religiosi privi di valore strategico non può che essere considerato terrorismo. La politica militare attuata da Europa e Stati Uniti d’America designa invece nuovi obiettivi chiave da abbattere: centrali energetiche, industrie, centri di produzione. I luoghi sacri del mondo capitalista.

Eppure la distruzione della statua del Leone di Allat non è un attacco religioso alle divinità pre-islamiche. Ugualmente alla demolizione dello stesso tempio in epoca Romana. Non sono azioni compiute unicamente nel nome di Dio, bensì intendono sfregiare la cultura antagonista.

Negli eventi di Palmira, l’Islam vuole attaccare la rilettura della tradizione locale siriana operata dagli infedeli occidentali nel loro racconto storico. Lo fa consapevole che il grande felino imperialista non accetterà lo sbeffeggiamento dei simboli del proprio passato. E che quando accade, ruggisce di rabbia. Pur non avendo subito un danno effettivo e materiale. Ma, appunto, solo simbolico.

BIBLIOGRAFIA – LINKOGRAFIA

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