La fine della schiavitù di Solomon Northup – 4 gennaio 1853

Il 4 gennaio 1853, Solomon Northup riottenne la libertà dopo essere stato rapito e ridotto in schiavitù per quasi 12 anni. Un’eternità rivissuta nella sua autobiografia 12 anni schiavo (Twelve Years a Slave).

Il lavoro in fattoria, la passione per la musica, una vita da uomo libero. Tutto ciò per Solomon Northup, trentenne afroamericano e padre di 3 figli, si interruppe bruscamente nell’aprile 1841.

IL RAPIMENTO
Alexander Merrill e Joseph Russell, di professione schiavisti, trassero in inganno Solomon con una falsa offerta di lavoro come musicista presso una compagnia circense di Washington. Una volta giunti nella capitale, i due drogarono e sequestrarono Solomon, per poi venderlo nottetempo ad un altro mercante, James H. Birch, alla cifra di 650 dollari.
Nel 1841, vent’anni prima dell’inizio della Guerra di secessione americana, la schiavitù era trattata diversamente in base allo Stato. Se a New York, di cui Solomon era originario, essa era in corso di abolizione, così non si poteva dire per lo Stato di Washington dove il mercato schiavistico continuava a fiorire.

12 ANNI SCHIAVO

Durante il trasferimento in nave a New Orleans, Solomon riuscì a far recapitare a Henry B. Northup, un bianco avvocato e amico di lunga data, un messaggio in cui descrive la propria difficile situazione. Tuttavia, il legale non poté agire poiché la sua destinazione come schiavo era sconosciuta.
Dopo lo sbarco, Solomon contrasse il vaiolo, ma riuscì a sopravvivere, e così ebbe inizio la sua odissea. Inizialmente fu venduto per 1000 dollari a William Ford, proprietario di una piantagione di cotone in Louisiana. La permanenza presso Ford si protrasse fino all’inverno 1842, data in cui divenne proprietà del carpentiere John M. Tibaut.
Il carattere iracondo di Tibaut rischiò di costare la vita a Solomon in due occasioni. La prima, in occasione di una ribellione, dopo che il giovane afroamericano corse il pericolo di impiccagione per aver picchiato il padrone; la seconda, quando scampò ad un’ascia lanciata da Tibaut stesso.
L’ultimo padrone, Edwin Epps, presso cui trascorse 10 anni, si rivelò il più crudele di tutti, per via delle continue sevizie nei confronti dei sottoposti e degli schiavi.

DEUS EX MACHINA

Nel settembre 1852, il carpentiere itinerante Samuel Bass, un bianco con posizioni abolizioniste, fu ingaggiato da Epps per alcuni lavori nelle sue proprietà. Così Solomon conobbe Bass e, dopo averne ascoltato le teorie antischiavista, gli rivelò la propria storia chiedendogli aiuto. La supplica fece breccia…
Bass, a costo della vita (il Fugitive Slave Act del 1850 puniva coloro che avessero aiutato gli schiavi a fuggire), inviò diverse lettere enigmatiche ai conoscenti e familiari di Solomon. Una di queste pervenne al succitato Henry Northup che, dopo averne individuato la zona di prigionia, avviò la macchina federale per liberare il vecchio amico.
Epps, dinanzi all’ordinanza del tribunale che constatava la condizione originaria da uomo libero di Solomon, firmò i documenti con cui ne rinunciava la proprietà.
Il 4 gennaio 1853, Solomon Northup torna libero, ma non svincolato dal dovere di sensibilizzare contro la schiavitù e le condizioni inumane in cui visse e continuavano a vivere quattro milioni di sventurati.
Un compito sostenuto con la stesura dell’autobiografia “Twelve Years a Slave”, da cui sarà tratto l’omonimo film del 2013, premiato come Miglior film e Miglior sceneggiatura non originale ai Premi Oscar 2014.

di Stefano Salatino

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